Nuccio Giacalone ha parlato ai microfoni di Quarta Repubblica ed ha raccontato un pò della sua esperienza in prigione, in Libia. Un vero e proprio trauma per lui e per coloro che hanno vissuto lo stesso evento.
Giacalone è uno dei pescatori di Mazara del Vallo, improvvisamente scomparso insieme al suo gruppo. Ha sofferto tantissimo fisicamente e psicologicamente, non pensava di poter rivedere la sua famiglia, invece adesso è libero, a casa, insieme a coloro che lo aiuteranno a dimenticare quanto avvenuto festeggiando il Natale.
Nuccio Giacalone, giorno per giorno un pò di speranza in meno
Nuccio Giacalone ha parlato delle torture che è stato costretto ad affrontare e vivere. Ha vissuto la prigionia con la speranza di veder migliorare la situazione, giorno per giorno.
Questo però soltanto nelle prime settimane, poi improvvisamente la speranza si è spenta. Sia per lui che per gli altri più si andava avanti più il tutto peggiorava. Pensavano di morire nell’indifferenza dello Stato che per loro non avrebbe fatto nulla, ostaggi di persone che avevano già deciso ciò che sarebbe stato di loro.
Lui e i suoi colleghi pescatori, erano in 18, sono stati trasferiti ben 4 volte in qualche settimana. Molto probabilmente chi li teneva prigionieri pensava di essere scoperto e li trasportava da una prigione all’altra per questione di sicurezza. L’ultimo trasferimento li ha visti andare nel carcere peggiore.
Erano sempre al buio, notte e giorno, non riuscivano a vedere nemmeno ciò che mangiavano. Un elemento comune per tutte le carceri vissute: mangiavano e facevano i bisogni sempre nello stesso posto. Sono stati trattati peggio degli animali. Nemmeno la notte riuscivano a riposare perchè chi faceva loro da guardia dava calci alla porta per disturbarli e non farli dormire. Così hanno sofferto tutti la fame ed il freddo.
Il comandante dava loro forza e coraggio, lo ringrazierà sempre
Tra loro inizialmente c’era qualcuno che mostrava coraggio ed ottimismo, improvvisamente le cose sono cambiate e tutti hanno creduto di essere giunti alla fine dei loro giorni. Anche i più coraggiosi. Lui si ritiene un uomo forte ma per la prima volta ha conosciuto la paura e la resa. Deve tutto al suo comandante che li ha tranquillizzati più volte, ogni volta che li vedeva abbattuti, stanchi, spenti.
Lui diceva loro che lo Stato italiano si sarebbe mosso prima o poi e avrebbe sistemato la situazione facendoli tornare a casa e così è andata. Sono stati sequestrati giorno 2 settembre e liberati giorn0 dicembre.