Anna Mazzamauro, iconica per il suo ruolo di signorina Silvani, ha recentemente condiviso riflessioni profonde sul suo percorso professionale e personale.
L’attrice, famosa per la risata inconfondibile e la voce un po’ ruvida – una caratteristica che lei attribuisce alle “cose di mattina presto” – si è aperta sul suo legame di amore e odio con il personaggio che le ha regalato la popolarità e che ora porta in scena nel suo ultimo spettacolo teatrale, “Come è ancora umano lei, caro Fantozzi“.
Anna Mazzamauro e la sua lotta contro i pregiudizi
In strada, le persone la chiamano come vogliono, ma lei afferma con semplicità:
“Mi chiamano come vogliono, ma io sono Anna”.
Parlando della sua carriera, Anna Mazzamauro ammette di essere sia grata sia appesantita dal suo personaggio. Lei crede che senza l’aspetto teatrale non avrebbe guadagnato la fama che ha oggi, ma questo l’ha allontanata da altri ruoli ambiziosi come quello di Medea.
“In questo senso la odio, ma la amo”
Il rapporto con Paolo Villaggio
Mazzamauro descrive Paolo Villaggio come un uomo umanissimo e rispettoso, sempre pronto a collaborare sul set. Nonostante non siano mai stati amici fuori dal lavoro, lo ricorda come un collega eccezionale. La loro relazione professionale è descritta con rispetto reciproco e un riconoscimento della separazione tra la vita professionale e personale.
Mazzamauro non nasconde il suo disprezzo per i pregiudizi estetici che ha dovuto affrontare e critica la corsa all’eredità artistica, citando esempi di come è stata paragonata ad Anna Magnani. Ha espresso il suo dolore per essere stata etichettata pubblicamente e l’ha condannata come una pratica denigrante.
Nonostante non senta nostalgia per gli anni di Fantozzi, Mazzamauro ammette di mancare gli anni della sua gioventù, un periodo in cui era insicura del suo futuro e ambiva a ruoli diversi da quelli che stava interpretando. Lei sottolinea la felicità che prova nella vita attuale, nonostante il passare del tempo e le sfide che comporta.
Con orgoglio, Anna Mazzamauro parla della sua capacità di trasformare l’atipicità in un punto di forza, specialmente nel contesto dello spettacolo, dove l’ipocrisia è prevalente. Racconta di un incidente in una trasmissione televisiva dove è stata presentata in modo offensivo, un evento che le ha lasciato una “piccola cicatrice” interiore.
“C’è una grande ipocrisia. Una volta sono stata ospite di una trasmissione, ma non faccio nomi. In studio trovo una scritta enorme alle mie spalle, ‘L’elogio della bruttezza’. Ero seduta con questa scritta dietro di me. Ma porca miseria! Sei una giornalista che fa evidentemente finta di essere dalla parte delle donne – non tu eh, ma questa che mi ospitava – che quando va in televisione racconta delle vittorie delle donne, e poi mi ospiti e scrivi in grande che sono l’elogio della bruttezza? Bruttezza? Tu sei brutta, perché sei scema“.
La commedia italiana e il maschilismo
L’attrice non esita a criticare la commedia italiana per aver contribuito a una cultura maschilista, pur riconoscendo l’approccio diverso di Villaggio, caratterizzato da ironia e intelligenza. Parla anche del suo lavoro con Lino Banfi, evidenziando come alcune figure maschili nel mondo dello spettacolo preferiscano ricordare colleghi per il loro aspetto piuttosto che per il talento.
“Paolo Villaggio invece era diverso anche in questo, perché osservava la donna con ironia e intelligenza. Questo modo di fare la commedia all’italiana in quegli anni era coinvolgente, sì, ma poco arguto. Ho lavorato molto, purtroppo e fortunatamente, con Lino Banfi, in teatro e in televisione. Abbiamo fatto insieme due spettacoli, una serie televisiva tanti anni fa, di Maurizio Costanzo, ma quando lui oggi parla della sua carriera ama parlare di Edwige Fenech e non mi nomina mai”.