Torniamo a parlare di depressione, una malattia che sembra non arrestarsi, ed anzi, fa registrare ogni anno dei pericolosi ed allarmanti incrementi.
Alcuni dati pubblicati recentemente dai principali quotidiani nazionali parlano di oltre 4 milioni di italiani colpiti in maniera più o meno forte da questa patologia.
Rispetto alle statistiche classiche, che vedono sempre le donne come i soggetti più a rischio, quello che allarma esperti e terapeuti è l’abbassamento dell’età media.
Sono in aumento le persone tra i 35 ed i 45 anni che ne sono vittime, complice anche la crisi economica e una perdurante condizione di incertezza verso il futuro.
In Italia poi, tra i Paesi dell’Unione Europea, balza agli occhi l’incremento notevole delle persone anziane interessate da questo fenomeno.
Circa l’11.5% degli over 65 anni, contro una media europea del 8%, presenta problemi più o meno marcati di stati depressivi.
Queste statistiche evidenziano un quadro molto chiaro: chi non lavora, o è fuori dal ciclo produttivo, quindi anziani e disoccupati, e tra loro le donne, ha possibilità molto più alte di cadere nella rete subdola della depressione.
Quello che dice perciò il Prof. Jorge Jaber, psichiatra e docente anche dell’Università di Harward, deve fare riflettere e stimolare iniziative che non vedano solo nell’utilizzo di farmaci la risposta a questa malattia, ma pongano l’essere umano e non solo il paziente al centro dell’attenzione di medici e società.
L’utilizzo crescente di sostanze chimiche presenti nei medicinali definiti ansiolitici, come le benzodiazepine, provocano infatti tutta una serie di effetti collaterali, anche pesanti, che vanno a minare la struttura fisica dell’individuo e la sua capacità quindi di combattere la depressione.
La risposta – afferma il dott Jaber – incentrata sul trattamento farmacologico, si sta rivelando sbagliata.
Il soggetto depresso è una persona che deve ritrovare non solo un minimo di senso e di scopo nella vita, ma deve riprendere una qualche attività affinchè il proprio organismo riprenda la produzione di quegli ormoni in grado di contrastare gli effetti fisici degli stati depressivi.
Piccoli e positivi cambiamenti nella nostra vita possono influire sull’attività di quei neurotrasmettitori andati in tilt con l’insorgere della depressione, e stimolare cambiamenti positivi anche a livello neurologico, incidendo sull’attività elettrica del cervello e, addirittura, sulla sua capacità di produrre nuovi neuroni.
L’attività fisica, come quella artistica, producono serotonina, e questa reazione contrasta ed accelera le risposte legate all’insonnia, all’ansia, al continuo rimuginare sui problemi.
Così come la meditazione e la riscoperta della dimensione spirituale consente di riequilibrare la propria mente e la propria psiche con vantaggi enormi sotto il profilo neurologico e fisico in generale.
L’essere umano, al contrario di quello che scienza e pensiero comune tendono a farci credere non è una semplice macchina nè, tanto meno, perfetta.
Anzi, è proprio questa idea prettamente materiale ed utilitaristica dell’individuo a scatenare reazioni, come quelle depressive, quando il soggetto esce dal ciclo produttivo, vedi gli anziani, o non ha lavoro causa crisi economica.
Gli effetti della preghiera, hanno potuto notare proprio medici e uomini di scienza, attiva la funzione parasimpatica, riducendo sia la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, provocate ad esempio dai continui attacchi di ansia, e rafforzando la risposta immunitaria grazie all’abbassamento dei livelli ematici di cortisolo, quello che è chiamato l’ormone dello stress.
Contributi questi che pongono l’individuo, nel suo complesso, e in tutte la sue dimensioni, al centro di analisi e risposte che devono essere approfondite e capite.
Non esiste la soluzione valida per tutti, ma men che meno l’utilizzo di soli farmaci può essere considerata la risposta ad un problema tanto intimo, e soprattutto personale, come quello della depressione.
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