Non si placano le polemiche attorno al caso Osama Almasri, il comandante della polizia giudiziaria libica ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Stavolta, a scuotere il governo Meloni, è la denuncia presentata da Lam Magok Biel Ruei, una delle vittime delle violenze perpetrate dal generale.
L’uomo, con l’assistenza dell’avvocato Francesco Romeo, ha depositato un atto di accusa alla Procura di Roma, puntando il dito contro la premier Giorgia Meloni e i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio. Secondo il denunciante, l’esecutivo italiano si sarebbe reso responsabile di favoreggiamento, permettendo ad Almasri di sottrarsi alla giustizia e tornare in Libia, evitando così l’arresto.
La vicenda risale a poche settimane fa, quando Almasri, fermato in Italia, è stato espulso e riportato in patria con un volo di Stato. Questo, secondo l’accusa, avrebbe vanificato gli sforzi della Corte Penale Internazionale, che aveva spiccato un mandato di arresto nei suoi confronti per i crimini commessi nei centri di detenzione libici.
Nel documento depositato, viene evidenziato il ruolo di ciascun componente del governo. Nordio, in qualità di ministro della Giustizia, sarebbe stato colpevole di inerzia, non avendo chiesto la custodia cautelare di Almasri. Piantedosi, invece, avrebbe firmato il decreto di espulsione, predisponendo il volo che ha riportato il generale in Libia. Insomma, per la vittima, queste scelte avrebbero favorito la fuga di un criminale di guerra, negando la possibilità di un processo.
A rendere ancora più scottante la vicenda è il fatto che, secondo il denunciante, il governo non poteva non sapere. Anzi, nel documento si legge che le istituzioni italiane sarebbero state informate in anticipo della validità del mandato di arresto, partecipando a consultazioni con la Corte Penale Internazionale. Nonostante ciò, la decisione è stata quella di espellere Almasri invece di trattenerlo.
Un dettaglio inquietante, che solleva interrogativi pesanti sulla gestione del caso e sulla posizione dell’Italia rispetto ai diritti umani e alla giustizia internazionale.
Le parole di Lam Magok Biel Ruei lasciano poco spazio ai dubbi sulla sua amarezza:
“Sono stato vittima e testimone di queste atrocità, orrori che ho già raccontato alla Corte Penale Internazionale. Ma il Governo italiano mi ha reso vittima una seconda volta, vanificando la possibilità di ottenere giustizia”.
L’accusa è chiara: il ritorno di Almasri in Libia non solo ha impedito il suo processo, ma ha anche reso impossibile per le vittime ottenere giustizia per le violenze subite. Una denuncia che suona come un atto di disperazione, ma anche di speranza, nella convinzione che l’Italia possa ancora essere considerata uno Stato di diritto.
La denuncia ha inevitabilmente sollevato un vespaio politico. Le opposizioni chiedono chiarimenti immediati, mentre le associazioni per i diritti umani parlano di scandalo senza precedenti.
Ora la palla passa alla Procura di Roma, che dovrà valutare se aprire un’indagine sulle responsabilità istituzionali in questa vicenda. Il rischio, per il governo Meloni, è che questa storia diventi un caso internazionale, con pesanti conseguenze sul piano diplomatico e giudiziario.
La domanda che tutti si fanno è una sola: com’è possibile che un criminale di guerra sia stato rimandato in Libia invece di essere consegnato alla giustizia? Su questo, la politica italiana dovrà dare delle risposte.
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