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Vittorio Feltri smaschera gli “smemorati” e racconta tutta la verità sul caso di Ilaria Salis

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Nel cuore del dibattito europeo sulla giustizia e il trattamento dei detenuti, un caso recente riaccende le discussioni: quello di Ilaria Salis, una cittadina italiana reclusa in Ungheria. Vittorio Feltri, direttore editoriale de Il Giornale, interviene con un’opinione che solleva questioni profonde sull’umanità dei sistemi penitenziari, guardando oltre i confini nazionali. Ma quali sono i punti salienti di questa vicenda? E quale messaggio critico ci trasmette Feltri riguardo al sistema carcerario italiano?

Il caso di Ilaria Salis, Vittorio Feltri dice la sua

Chi è senza peccato scagli la prima pietra” esordisce Vittorio Feltri, evocando un principio biblico per calmare le acque turbolente della polemica con l’Ungheria. La detenzione di Ilaria Salis, una nota antifascista italiana, sembra essere avvolta in circostanze severe e discutibili. Feltri non nasconde il suo disgusto: “È stato orribile vedere una detenuta con mani e caviglie legate“, afferma, ritenendo tali metodi profondamente ingiusti. Eppure, la critica di Feltri si spinge oltre, invitando a non puntare il dito verso l’esterno quando le prigioni italiane mostrano lacune simili o peggiori.

L’autocritica è incisiva quando Feltri rimarca:

Noi italiani non possiamo di sicuro giudicare i sistemi penitenziari degli altri Stati del continente europeo“.

Le condizioni carcerarie in Italia, per il direttore, sono tra le più problematiche in Europa. Lui stesso richiama la sentenza recente della Corte di Strasburgo, che ha sanzionato l’Italia per non aver rispettato i diritti umani fondamentali di un detenuto, Francesco Riela, il quale non ha ricevuto cure mediche adeguate in tempo. Feltri si interroga, “Il diritto alla salute non è forse un diritto fondamentale?“, e denuncia la persistenza di un problema strutturale nel sistema penitenziario italiano: il sovraffollamento delle carceri.

Vittorio Feltri smaschera gli "smemorati" e racconta tutta la verità sul caso di Ilaria Salis

La domanda di Feltri è tagliente e diretta: se rinchiudiamo molte persone in spazi angusti, non stiamo forse commettendo un abuso peggiore di quello subito da Salis? Feltri spinge alla riflessione: “non siamo migliori degli ungheresi, non siamo più civili, non siamo più umani“.

La critica si fa ancora più aspra quando Feltri tocca il punto del 41 bis, una norma carceraria italiana che impone condizioni estreme ai detenuti. “A cosa serve vietare ad un detenuto di potere leggere un libro o di potere tenere la fotografia dei propri cari?“, chiede retoricamente, concludendo che tali misure sono inutili e contrarie allo scopo rieducativo della detenzione, come delineato dalla Costituzione italiana.

In un crescendo di esempi e domande, Feltri porta all’attenzione il caso di Giuseppe Gulotta, un uomo che ha subito un’ingiustizia gravissima, condannato per un crimine non commesso e liberato soltanto dopo decenni a causa di una confessione estorta con metodi barbari.

Prima di dare lezioni di civiltà agli altri assicuriamoci di osservare per primi quello che pretendiamo di insegnare“.

Feltri, con la sua penna critica, ci invita a uno sguardo introspectivo prima di giudicare gli altri. La vicenda di Ilaria Salis non è solo un episodio isolato di ingiustizia, ma uno specchio che riflette le imperfezioni del nostro sistema carcerario. È un richiamo a non dimenticare che, anche all’interno dei confini italiani, esiste la necessità impellente di riformare, migliorare e umanizzare le condizioni dei nostri detenuti.

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